Il Liechtenstein esiste

Tutti ne hanno sentito parlare, pochi lo sanno pronunciare, nessuno sa se esiste per davvero. Il Liechtenstein è un po’ come il Molise, e anche come Domodossola. Certo, perché è facile dire “D di Domodossola”, ma in quanti saprebbero dire dove si trova? Ebbene il Liechtenstein esiste, sì, anche se non dovrebbe.

Ma partiamo dall’inizio…

È il grande giorno, il giorno del concerto di Anastacia, l’artista che è passata dal riempire gli stadi di tutto il mondo al cantare alla sagra della porchetta in provincia di Catanzaro. Per lei abbiamo girato tutta l’Europa… o quasi. Ci mancava proprio lui: lo Stato più impronunciabile del vecchio continente. Per non parlare dei suoi abitanti, i liechtensteiniani (si chiamano davvero così, lo dice Wikipedia), che sono meno dei capelli di Berlusconi e addirittura meno della voglia di vivere di Leopardi.

Sveglia alle 6:00 del mattino e partenza. Man mano che procediamo nel percorso, le case si fanno sempre più rade e le piante sempre più fitte, finché non varchiamo il confine della Svizzera e poi… il nulla. Quando Marcella Bella scrisse “Montagne verdi”, doveva trovarsi per forza nel Liechtenstein: Ti ricordi montagne verdi e le corse di una bambina, con l’amico mio più sincero, un coniglio dal muso nero. E in effetti solo con un coniglio poteva fare amicizia, perché altri esseri viventi, in questo Stato, non sono pervenuti.

L’unica volta in cui Fra è stata incaricata di prenotare un hotel, ha combinato solo danni. Il primo hotel riservato prevedeva una camera tripla di 17 metri quadri. Diciassette. Ha deciso di cambiarlo, così ne ha prenotato un secondo che si è rivelato essere in cima alle montagne, letteralmente. Più in alto di quell’albergo, ci sono solo le rondini e Dio.

Il navigatore, poi, maledetto bastardo, non ci è d’aiuto. “Prosegui lungo questa strada.” Proseguiamo lungo la strada: strada chiusa. Torniamo indietro. “Svolta a destra.” A destra c’è il burrone. Svoltiamo a sinistra. Non abbiamo la registrazione per provarlo, ma tre paia di orecchie ci sembrano più che sufficienti: a un certo punto, la voce del navigatore Huawei ha detto “Non trovo più la strada, cazzo”. Noi tre sconvolte. Dopo un tempo indefinito riusciamo ad arrivare in cima al monte. Il paese è talmente piccolo che non esistono neanche i numeri civici. Troviamo subito l’albergo grazie al suo nome evocativo, che in un certo senso ci rispecchia: HOTEL GALINA.

19780732_10212557782435226_4515932562129387024_oOvviamente arriviamo troppo presto e la camera non è ancora pronta, così decidiamo di aspettare fuori e ordiniamo da bere. Ci viene proposta un’ampia scelta di succhi: “arancia o mela”. Ordiniamo mela… non l’avessimo mai fatto. Da quando in qua il succo di mela è frizzante? Fatichiamo a mandarlo giù, ma un’ape viene in nostro soccorso: Fra la vede, poi non la vede più, poi la sente ronzare nei capelli e… da questo momento in avanti, il Panico. Il bicchiere viene scaraventato in aria e con esso il succo di mela (frizzante), che finisce sui cuscini immacolati dell’hotel. Silvi e Esther, utili come Cicciolina vestita, anziché aiutare si mettono a ridere. Fra ha il terrore della proprietaria mascolina e motociclista, così decidiamo di girare i cuscini per nascondere il misfatto e il risultato… è peggio di prima.

Finalmente entriamo in camera: ci sono tre stanze ampie con sei letti. Luigi XIV non ti temiamo. La vista fuori dal balcone è quella della sigla di Heidi, ma al posto delle caprette ci sono dei liechtensteiniani che bevono birra e fanno casino che neanche a un matrimonio napoletano.

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L’aria fresca di montagna ci inganna al punto da farci indossare i pantaloni lunghi. C’è chi prende addirittura la giacca. Errore madornale. Ci dirigiamo in paese, presso il luogo del concerto, e veniamo accolte da un’ondata di afa che il Senegal in confronto è una località sciistica. Mannaggialcaldoporco. L’umidità è insopportabile e decidiamo di girare i negozi – i tre negozi presenti – per comprare dei pantaloncini corti. Un piccolo dettaglio, tuttavia, ci impedisce di procedere con l’acquisto. Non solo gli shorts sono orrendi, ma costano pure un occhio della testa. Non riusciamo a trovarne nemmeno un paio sotto i 60 franchi e il dubbio sorge spontaneo: sborsiamo i soldi o moriamo di caldo? Ovviamente optiamo per la seconda.

Le commesse, tra l’altro, si rivelano essere simpatiche come la sabbia nel costume e si ostinano a parlare tedesco malgrado sappiano benissimo che noi di tedesco conosciamo solo wurstel e Eins, Zwei, Drei, Polizei. Proviamo con l’inglese. Niente, rispondono in tedesco. Proviamo con i gesti. Niente, rispondono in tedesco. E allora, in momenti come questi, l’unica cosa che ti viene in mente da dire è “deine Schwester”, ovvero “assorata”, e usciamo dal negozio.

I bar – i due bar presenti – non hanno l’aria condizionata. Optiamo dunque per quello con il ventilatore, che ventila aria calda. Le pale girano, e le palle anche. Scopriamo che il barista è italiano e nel locale risuonano canzoni di Renato Zero e Alex Britti. Il tempo va e passano le ore, e finalmente faremo… un cazzo, non faremo un cazzo, perché nel Liechtenstein non c’è un cazzo da fare.

Decidiamo quindi di metterci in fila davanti al luogo del concerto e di aspettare l’ora X, ovvero l’ora in cui le porte si sarebbero aperte e tutti si sarebbero trasformati in centometristi giamaicani per accaparrarsi la prima fila. Un ostacolo, tuttavia, ci separava dalla nostra corsa olimpica: i controlli di sicurezza. Allora… non solo stiamo parlando di Anastacia, ma ci troviamo pure nel Liechtenstein. Il massimo che potremmo nascondere sono i peli delle gambe. La situazione diventa surreale quando, una volta scattata la fatidica ora X, le donne iniziano a perquisirci: lente, mosce, con calma, centimetro per centimetro, come se provassero piacere nell’impedire all’Usain Bolt che è in noi di uscire. Finalmente l’ultimo millimetro di pelle è stato tastato: siamo libere, possiamo correre, ci fiondiamo verso il palco e conficchiamo le costole nella transenna. Ce l’abbiamo fatta, siamo davanti. Il resto è musica.

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8 Comments Lascia un commento

  1. Vi confesso che avevo pensato a un certo punto, magari verso settembre, di organizzare un weekend in Liechtenstein ma direi che forse forse è meglio lasciar perdere…
    Massima solidarietà per l’ape nei capelli perché a me è successo con una vespa, quindi so esattamente cosa vuol dire 😉

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  2. Succo di mela frizzante, chiamasi mosto. Specialità al nord delle alpi. Non che la mia parte nordica ne vada molto fiera XD Comunque, così è la vita! Ma dall’albergo al concerto come ci siete arrivate? 😛

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